Ho conosciuto Carlo Etenli oltre trent'anni fa, quando, giovane Magistrato, assunsi
il mio primo incarico di Pretore del Mandamento di Lonigo, mentre egli era Sindaco
di Grancona.
Nel corso degli anni siamo diventati amici.
Un'amicizia strana la nostra, lontana (ancora oggi ci si dà reciprocamente del lei) e
profonda nello stesso tempo: fin dall'inizio le nostre frequentazioni sono state sempre
accompagnate da una totale franchezza e da reciproca comprensione.
La prima dote che mi colpì in lui fu il modo con cui esercitava il suo mandato di Sindaco:
attivo e sollecito, attento alle esigenze dei cittadini e nel contempo rigorosamente
rispettoso delle normative e delle Istituzioni.
Ricordo ancora i "consigli preventivi" che mi chiedeva, e le discussioni sulle norme urbanistiche
per conciliare le esigenze concrete della gente con l'attuazione delle leggi e
dei regolamenti.
Su questo rapporto chiaro, e rispettoso delle reciproche competenze, nacque la simpatia
umana.
Conoscendo col tempo le dure vicende della sua vita, imparai a comprendere le motivazioni
profonde dell'amore che Carlo Etenli nutriva per la civiltà contadina, e ad
ammirarne la rara cultura e la genuina sensibilità.
on mi fu difficile farlo, perché anch'io negli anni giovanili, per un legame con lontanissimi
parenti, avevo avuto la fortuna di accostare e conoscere da vicino (durante
i mesi di vacanza scolastica) la vita e le fatiche dei contadini poveri di collina, e osservare
i loro lavori e godere le loro tradizioni (lo sfalcio dei prati, la mietitura a mano
del grano, la trebbiatura, la "sgabotatura" del sorgo, la vendemmia, la mungitura,
il filò nella stalla, i "cavalieri", la festa del "mas-cio", i canti semplici, maliziosi
e antichi, che tuttora ricordo).
Così, quando Carlo, in rari momenti conviviali o in occasionali incontri, parlava,
senza retorica, ma intimamente commosso, dei suoi genitori e delle loro fatiche per
mantenere la numerosa famiglia con il poco che la terra offriva, della sua infanzia
operosa e dei lunghi e faticosi anni da emigrante, del suo ritorno, delle speranze e dei
sacrifici, coglievo tutta la sincerità dei suoi sentimenti e la sacralità dei ricordi, apprezzavo
la saggezza dei giudizi e la capacità di cogliere l'essenza dei fenomeni.
Ho seguito con ammirazione la tenacia (altra sua dote peculiare), con la quale ha
raccolto in lunghi anni, con inesauribile pazienza, immutato entusiasmo e dispendio
di fatica e risorse personali, gli attrezzi del lavoro dei campi e delle botteghe artigiane,
le vecchie foto ingiallite, le memorie della sua gente, i poveri oggetti essenziali che
ornavano le case, e li ha ordinati e custoditi con cura, fino a formare questo meraviglioso
"tempio della memoria".
C'è una grande foto, in bianco e nero, di suo padre, ormai vecchio, mentre "brusca"
le viti, che sintetizza e riassume, in maniera commovente, tutto l'amore per questa ricerca
delle tradizioni e degli affetti.
Sarebbe ingeneroso e riduttivo definire questo museo della civiltà contadina come una
rassegna di "cultura materiale": esso è molto di più.
Rappresenta, a mio avviso, un patrimonio di valori civili e morali che non deve andare
disperso; riassume i segni della semplicità, del sacrificio, dell'operosità di questo
nostro popolo buono ed onesto.
Esso non è frutto di mania di collezionismo, ma sintesi di amorosa custodia delle esperienze
di una vita coerentemente e duramente vissuta, in sintonia con quei principi,
ed espressione della passione civile, del desiderio di comunicarli ai giovani.
Nell'opera di Carlo Etenli ravviso una grande importanza etica e politica: il bisogno
appunto di tramandare, in un'epoca di stolido consumismo e di realtà virtuale, i valori
semplici, ma fondanti, di solidarietà, di laboriosità, di sacrificio, di religiosa essenzialità
della vita, che hanno caratterizzato la nostra civiltà contadina.
Non si tratta - s'intende - di rimpiangere una bucolica ed improbabile età dell'oro, ma
di capire attraverso quali virtù e quali sforzi passi il progresso, senza snaturare l'uomo,
perché, come è stato giustamente ricordato, un popolo non può avere un futuro
se non capisce, ricorda ed ama le cose migliori del suo passato.
GIAN NICO RODIGHIERO